Inno a Giove, carmen saliare


Divom parentem cante,

Divom deo supplicate.

Quonne tonas, Leucesie,

Prai tet tremonti

Quot ibei tet dinei

Audiisont tonase.

[...]cozeulodorieso.
Omnia vero adpatula coemisse.
Ian cusianes duonus ceruses dunus Ianusve
vet pom melios eum recum. »


Cantate lui, il padre degli Dei,

Supplicate il Dio degli Dei,
quando tuoni, Leucesie [dio della luce], davanti a te tremano tutti gli Dei che ti hanno sentito tuonare. 

-Carmen Saliare- 

Il terzo frammento (da "cozeulodorieso" in poi) è apparentemente intraducibile, già Cicerone sottolinea che al suo tempo non fossero più in grado di comprenderne il significato. Questo indica quale importanza avesse la ripetizione delle formule nel pensiero romano (si rivede anche nel rito di guarigione delle lussazioni di Catone).
Il linguaggio scritto è in latino arcaico VI sec a.e.v.

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Commenti: 2
  • #1

    claudio pirillo (sabato, 19 settembre 2015 09:25)

    Per Cicerone era diventato intraducibile. CESARE lo comprendeva. Il Latino arcaico (preferito appunto da Cesare) manteneva intatta tutta la struttura linguistica protoindoeuropea. I carmi erano recitati nel latino sacerdotale, magico, perché espletassero tutta la potenza evocativa, invocativa, realizzativa. Nella piena coscienza del pontificato lucumonico e numano.

  • #2

    Marzio de li Trabucchi (giovedì, 24 settembre 2015 22:53)

    In quale fonte è scritto che Cesare capiva esattamente il linguaggio di questo carme?