Preghiera di Scipione l'Africano

<Diui diuaeque, inquit, qui maria terrasque colitis, uos precor quaesoque uti quae in meo imperio gesta sunt geruntur postque gerentur, ea mihi populo plebique Romanae sociis nominique Latino qui populi Romani quique meam sectam imperium auspiciumque terra mari amnibusque sequuntur bene uerruncent, eaque uos omnia bene iuuetis, bonis auctibus auxitis; saluos incolumesque uictis perduellibus uictores spoliis decoratos praeda onustos triumphantesque mecum domos reduces sistatis; inimicorum hostiumque ulciscendorum copiam faxitis; quaeque populus Carthaginiensis in ciuitatem nostram facere molitus est, ea ut mihi populoque Romano in ciuitatem Carthaginiensium exempla edendi facultatem detis.>

«Dei e dee che abitate i mari e le terre, vi prego e scongiuro perché quello che per mio ordine si è compiuto, si compie e si compirà, abbia esito positivo per me, per il popolo e per la plebe romana, per gli alleati e per la nazione latina e per quelli che seguono il mio esempio, i miei ordini e i miei auspici in ogni terra, sul mare e sui fiumi. Fate poi crescere ciò che aiutate perché abbia buon fine. Riconduceteli poi in patria, insieme con me, salvi ed incolumi, vincitori, dopo aver sconfitto i nemici, adorni di spoglie, carichi di preda e trionfanti. Concedeteci di punire gli avversari e i nemici. Possa io e il popolo romano compiere contro la città cartaginese, quello che il suo popolo ha cercato di fare contro la nostra città perché ciò serva di esempio!»

 

Tito Livio, XXIX, 27, 2-4.

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