Rito Romano VII: le offerte

Non si può definire "semplice" la rituaria romana, essa comprende numerose conoscenze teoriche e pratiche che si vedono necessarie per poter eseguire un rito.
Questo gran numero di norme sono fortunatamente fatte salve da un nutrito numero di fonti, diversamente da quello che avviene per altre realtà pagane.
In questa serie di articoli sul Rito Romano cercheremo di dare delle indicazioni precise e puntuali (dove possibile) su come compiere un rito, in modo tale da dare a tutti la possibilità di farlo.
L'ordine per argomento seguirà lo stesso del rito vero e proprio.


Abbiamo fino adesso visto come ci si accosta ad un rito, le azione da compiere, la struttura, le regole, ed i principii filosofici e morali dietro ad esso, ora è giunto il momento di vedere cosa sono le offerte e come si compiono.

Come vedremo a partire dall'articolo IX, le offerte maggiormente citate sono incenso e vino.
Oltre a queste troviamo offerte di animali (scrofe, vitelli, buoi), e vegetali (lo stesso incenso, pani, torte).
Elementi che sono particolarmente interessanti in quanto si ritrovano ancora oggi in alcune pratiche popolari (soprattutto nel mezzogiorno) per cui alcune anziane praticano il sacrificio di un pollo o di una scrofa alla Madonna, in occasione del trasferimento in una nuova abitazione.
Ovviamente non si istiga nessuno al sacrificio animale in quanto vietato dalla normativa sulla tutela degli animali. Oltre al fatto che manchiamo di fonti precise per dichiarare con certezza come avvenisse l'atto.

Ma che cos'è l'offerta? Che valore ha?
Cicerone sostiene che ogni volta che c'è un'offerta si parla di "rito", pertanto per il rito è necessaria l'offerta. Questo già crea un'abissale differenza tra il rito, e ogni altra pratica sacra (come ad esempio i voti, le divinazioni, etc.).
L'offerta è il togliere qualcosa a se stessi per donarlo alla divinità.
Questo però crea un profondo legame tra chi da e chi riceve.
Come sottolinea Marcell Mauss in "Saggio sul Dono" l'ospitalità era sacra, e nelle culture più civilizzate della nostra, questa prevedeva il rispetto di numerose norme che nel caso dei romani erano protette dallo stesso Giove.
Usanza dell'ospitalità era uno scambio di doni, che poteva avvenire e ripetersi maggiorando sempre più. In moltissime società meno stratificate della nostra (volgarmente definite "arretrate") era riscontrabile un intero mercato anche di ampio respiro basato proprio sul dono.

Questo dono non era un acquisto, era uno scambio volto a stringere maggiormente il legame tra i partecipanti.
Persino lo scambio di parenti (tramite matrimonio), creava legami forti, vasti e duraturi con lo scopo di avere ulteriori vantaggi sul piano materiale.

Ricordiamo che in queste società non era facile vivere, i rapporti umani erano necessari. Pensiamo che in Roma anche solo per denunciare qualcuno lo si doveva prendere fisicamente e condurlo in tribunale, operazione difficile se egli aveva tanti amici, in questo senso il potere era de facto di chi possedeva più clienti.
Gli stessi oggetti nello scambio acquistano valore.

Nel kula (scambio simbolico delle isole Trobriand) ad esempio, i popoli locali compiono viaggi di centinaia di chilometri in canoa, al solo scopo di compiere uno scambio di conchiglie. Queste conchiglie però non hanno un valore in termini materiale (peso, misura, quantità o qualità), bensì in "anzianità", ovvero la conchiglia che da più tempo compie quel circuito chiuso di scambi, acquista maggior valore. E non soltanto queste conchiglie venivano usate per lo scambio di altre conchiglie, ma anche per oggetti di prima necessità. 
Un acquisto? No un dono.
Questo mercato basato sulla fiducia (definito "economia del dono", contro la nostra che è "economia di mercato") permetteva la creazione di fortissimi legami, per cui si finiva per procedere allo scambio di doni sempre con i medesimi partner, ottenendo anche scambi di maggior favore.
Marcel Mauss vede nella reciprocità di scambio di doni non tanto un favore, quanto più un obbligo istituzionale, poiché quanto più ricevevo in dono, tanto più ero tenuto a donare, non soltanto per il vantaggio economico evidente quanto più per la stima, la posizione sociale che si ottiene.
Questo sistema di dono volto ad un guadagno in termini di rango sociale lo troviamo in moltissime realtà, pensiamo solo al potlatch, dove vengono volontariamente donati, dilapidati e distrutti i beni in proprio possesso soltanto per accrescere il proprio rango. Il rischio di finire in miseria è salvaguardato dal fatto che, colui che ospita (e compie questo dono) verrà poi invitato dagli ospitanti ottenendo un guadagno a sua volta. Inoltre essendo a quel punto un uomo prestigioso verrà sicuramente aiutato tramite dono da coloro i quali ha precedentemente aiutato.

Tutto molto interessante, ma che centra con i romani? E soprattutto che centra con un dono agli Dei?

Le informazioni che abbiamo ad oggi sono tutte relative ad un periodo in cui la struttura sociale (e quindi religiosa) è già profondamente stratificata, e quindi perde un poco dei significati originari di determinate azioni.
Ricordiamo che è molto importante l'analisi delle fonti, i testi anche considerati da alcuni sacri (sempre ammesso che si possa parlare di libri sacri per il paganesimo, e per la romanità, cosa che noi non crediamo assolutamente vera, ed è tutto fuorché dimostrato!!!) sono sempre e comunque postumi, e pertanto scritti con l'occhio di un uomo tardo. Quindi per esempio, se alcuni considerano l'Eneide come la "bibbia" dei romani, a parte un gravissimo errore in termini anacronistici e filosofici che viene commesso, è anche un errore in termini di studio e ricerca, perché tra Virgilio e Romolo intercorrono otto secoli durante i quali i romani sono passati da sacrificare bambini per aprire le porte nella città, a corrompere gli Auguri.

Alcuni di questi sistemi sopra descritti di scambio (dei quali possiamo trovare tracce, seppur poco sensibili, anche nella cultura tarda, come la già citata sacralità dell'ospite) possiamo ipotizzare che precedentemente all'introduzione della moneta in ambito italico fossero parzialmente validi.
In Roma sappiamo che una forma di monetazione esisteva già dalla fondazione, con l'uso di pani di bronzo (aes rude) che non avevano un valore nominale, bensì intrinseco (il peso), e che pertanto possiamo associarlo in un certo qual modo ad una forma a metà strada tra lo scambio e l'acquisto, il che lascia già di per se supporre una precedente forma culturale basata solo sullo scambio.

Giungiamo quindi al punto della questione: se questo che abbiamo fino ad ora descritto è il valore del dono, il cui scopo è proprio quello di stringere rapporti con il vicino, possiamo pensare che il dono avesse il medesimo valore anche nel rapporto con gli Dei.
Infatti Cicerone parla della differenza tra la religione e culto, proprio perché la prima è superstizione, mentre la seconda prevede un coltivare il rapporto con gli Dei.
Come si coltiva questo rapporto? Proprio con il dono, l'offerta!
Lo scopo dell'offerta è quindi donare qualcosa di proprio, d'importante, allo scopo di accattivarsi la divinità la quale per "obbligo istituzionale" basato sull'ospitalità nel luogo in cui viene invocata è protetta dal Re degli Dei, Giove (infatti invocato all'apertura dei riti insieme a Giano, dio degli inizi, dell'apertura, delle porte) è "costretta" a ricambiare, consolidando il rapporto tra l'officiante e la divinità.
Il rito pertanto prevede che la prima offerta sia il dono a Giano attraverso cui si accede al luogo dell'ospitante/officiante, dopodiché si invoca Giove affinché venga rispettata l'ospitalità nel luogo preposto al rito, in fine la divinità ospitata alla quale si dona qualcosa per onorarla o chiederle qualcosa, il che stringe il rapporto tra i due.
Tutto questo è definito da Cicerone come uno scambio commerciale, ed in effetti abbiamo visto che è una forma di dono istituzionalizzato, ovvero un commercio, che però non prevede prezzi ma solo il legame d'alleanza tra l'uomo ed il divino. Ovvero la Pax Deorum.

Quindi cosa si può offrire?
Qualsiasi cosa potenzialmente.
L'incenso è sempre valido, citiamo così significativamente il fatto che i romani hanno appreso l'uso dell'incenso dagli etruschi insieme ad una gran parte del bagaglio religioso (fondazione di città, auspici) infatti ne hanno mantenuto il nome tur (etrusco) thure (latino).
Il vino, che sostituisce il sangue sacrificale.
Inoltre vi è un interessante elenco delle singole offerte che si possono fare alle divinità negli Inni Orfici (che sono greci e tardi, ma un comodo elenco valido).
Le offerte di animali possono essere sostituiti con degli ex voto (di cui parleremo approfonditamente in un articolo a parte) ovvero delle rappresentazioni in diversi materiali anche alimentari (es. pane) degli animali stessi.

Candele? Abbiamo già detto che queste venivano accese di per se per rappresentare la presenza del divino, quindi forse sarebbero "banali" ma nulla lo vieta.


Volendo si possono offrire anche cose meno materiali (lasciate stare "pensieri" o "poesie" come usa in alcuni ambienti new age), come ad esempio sforzi fisici -indubbiamente graditi ad Ercole-, o delle vittorie (e di conseguenza il loro simbolo, coppe/medaglie).

Domanda che sicuramente alcuni porranno è se si possa offrire il sangue, non è vietato, ma dev'essere qualcosa di veramente importante, e come ogni cosa importante profondamente meditata. Non si offre sangue con leggerezza, in primis perché sangue chiama sangue, secondo perché è di estremo valore. Quindi è meglio attendere saggia maturità. In linea di massima meglio lasciar perdere, o rimettere la decisione agli Dei.
Con questo non si invita nessuno ad usare violenza verso se stessi, anzi si invita ad astenersi dal farlo!

Per quanto concerne la quantità, sta al vostro cuore.
Ma sempre conta di più la qualità rispetto alla quantità, seppur non bisogna mai essere tirchi con gli Dei. Rammentate il valore del dono di cui prima abbiamo scritto.


Emanuele Viotti

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Commenti: 1
  • #1

    Marco Stella (domenica, 01 novembre 2015 18:08)

    Interessantissimo anche questo pezzo, rinnovo i complimenti per il blog.