Rito Romano I: accostarsi al rito

Non si può definire "semplice" la rituaria romana, essa comprende numerose conoscenze teoriche e pratiche che si vedono necessarie per poter eseguire un rito.
Questo gran numero di norme sono fortunatamente fatte salve da un nutrito numero di fonti, diversamente da quello che avviene per altre realtà pagane.
In questa serie di articoli sul Rito Romano cercheremo di dare delle indicazioni precise e puntuali (dove possibile) su come compiere un rito, in modo tale da dare a tutti la possibilità di farlo.
L'ordine per argomento seguirà lo stesso del rito vero e proprio.


Diversamente da molte realtà pagane vigenti oggi giorno, il rito romano richiede che ci si debba accostare alla pratica con una determinata condizione.
Questa condizione la definiremo usando le parole di Cicerone (De Legibus) e cioè castus et purus.
Il periodo di tempo che intercorre tra quello di condizione normale e quella di castus et purus durante il quale si attuano una serie di azioni e rinunce si chiama preparazione rituale.

 

Per castus di intende una condizione di purezza generica, l'assenza di contaminazione, sia in termini fisici che di comportamento.
Castus è pertanto colui che non è "contaminato", quindi una matrona casta era colei che aveva rapporti solo con il marito, una vestale era colei che non aveva alcun rapporto, e per estensione un oggetto casto era un oggetto che era usato per un solo ed unico scopo (nello specifico rituale).
Perché si assimila il rapporto sessuale ad una questione d'impurità?
Non tanto perché i romani pensassero che fosse sbagliato (come invece la cultura cattolica insegna), bensì perché il passaggio di fluidi fisici e metafisici tra due persone durante un rapporto, portano ad una condizione di contaminazione (positiva o negativa che sia), e quindi pertanto per accostarsi al rito romano è necessario un periodo di astinenza sessuale per mantenere uno stato di non contaminazione.

Purus ha un significato simile, esso indica pulito, esente da macchie, indica quindi una questione più strettamente fisica che morale. Esso deriva dalla radice indoeuropea *pur, fuoco, è interessante vedere infatti che in tutta la cultura occidentale (e non solo) si veda in questo elemento il concetto di purezza. Una parte dei riti di purificazione infatti prevede il bruciare determinate piante/erbe/resine ed usare le loro suffumigazioni a questo scopo. E non a caso il fuoco è proprio funzionale alla purificazione anche in termini sanitari (pensiamo solo al disinfettare un oggetto metallico, o all'eliminare i batteri con l'ebollizione dell'acqua), ovviamente quando nacque questo termine non si aveva la coscienza scientifica odierna, ma è interessante notare ancora una volta come solo con l'analisi analogica si fosse giunti a comprendere una verità, applicata poi anche al mondo rituale.

L'energia che ognuno di noi conserva in sé è qualitativamente dettata anche dalla nostro stato emotivo, dal nostro agire, da nostro contatto con altre persone più o meno "pure", pertanto nel momento in cui la utilizzeremo durante il rito avrà un'influenza sul rito sesso.
Inoltre il valore quantitativo della nostra energia è data anche dal tipo di attività fatta, e durante un rapporto sessuale questa energia viene scaricata. Quindi anche un rapporto sessuale dei più puri fatti con la persona più pura del mondo o anche "in solitaria" è un dispendio di energia che non permette di fare il rito.
Per comodità e precisione vale la pena di parlare di "castità di pensieri, parole e atti".
Quindi se non siamo in condizione adatta a fare un rito (fosse anche solo uno stato emotivo alterato!) meglio lasciare perdere.

Non ci è noto quanto tempo fosse precisamente richiesto in Roma antica per poter effettuare un rito.
Sulla base della sperimentazione pratica si può dire che:
-per una comune offerta, senza un rito strutturato o senza invocare divinità maggiori, o senza fare richieste specifiche, sarà sufficiente far passare 5-6 ore.
-per un rito legato ad una festività specifica, o comunque una richiesta ad una divinità maggiore, almeno 24 ore
-per un rito comunitario almeno 3 giorni

Questi non sono tempistiche ipse dixit e si ribadisce che sono il risultato di sperimentazione pratica e non è sottolineato in nessuna fonte. Motivo per cui sono modificabili, anche perché ognuno di noi è diverso, pur essendo serenamente alla portata di tutti.
Sottolineando che in linea di massima maggiore è il tempo in cui si sta nella condizione di preparazione rituale, meglio è, ma bisogna evitare di cadere nella superstitio. Sempre la sperimentazione empirica ha dimostrato che una persona che non ha ricevuto una preparazione, che non è allenata -diciamo- oltre un certo tempo inizia a sviluppare una resistenza ed una stanchezza per cui si ottiene il risultato contrario rispetto a quello voluto.
Si consiglia pertanto di sperimentare la preparazione rituale tanto a lungo fino a quando non si inizia a percepire un profondo senso di stanchezza (non tanto la sofferenza per desiderio, ma di stanchezza, fiacchezza), quello è -in quel momento- il limite massimo utile di accumulo di energia. Inoltre bisogna ricordare che molta energia accumulata, si deve anche essere in grado di utilizzarla, quindi meglio non esagerare: in medium stat virtus.
Se si è agli inizi, 24 ore sono serenamente alla portata di tutti, così come anche una o due settimane, ma se non state perseguendo un percorso spirituale specifico, e soprattutto se non siete seguiti direttamente da qualcuno evitate periodi di preparazione spirituale più lunghi.

La questione alimentare è un poco più spinosa, sono difficili e poco chiarificatorie le fonti a riguardo.
A logica potremmo semplicemente dire che in linea di massima è meglio un'alimentazione leggera la sera precedente al rito, e dalla cena al rito astenersi dall'assimilare qualunque cosa sia diversa dall'acqua.

 


Oltre a quanto detto fino adesso è importantissimo rilevare la condizione mentale dell'approcciarsi al rito.

<<Caste iubet lex adire ad deos, animo videlicet in quo sunt omnia; nec tollit castimoniam corporis, sed hoc oportet intellegi, quom multum animus corpori praestet, observeturque ut casto corpore adeatur, multo esse in animis id servandum magis. Nam illud vel aspersione aquae vel dierum numero tollitur, animi labes nec diuturnitate evanescere nec amnibus ullis elui potest.>>
<<La legge ordina di accostarsi con purezza agli Dei, purezza d'animo naturalmente, poiché in essa tutto è compreso; non esclude però la purezza del corpo, ma occorre che si capisca questo, cioè che, essendo l'anima considerata superiore al corpo, se ci si deve presentare con purezza di corpo, questo principio sarebbe molto più necessario osservarlo nell'anima. Quello infatti può essere purificato o con lustrazioni o col trascorrere di un certo numero di giorni; ma la macchia dell'anima non può né svanire col tempo né detergersi con l’ acqua di un fiume.>>

-Cicerone, De legibus 2,24
La mente deve essere pulita, pura, bisogna avere pensieri puliti.
Quindi evitare litigi, rancori, arrabbiature, ma anche eccessivi stati di euforia e felicità subito prima del rito.
La cosa migliore è accostarsi con una condizione d'animo di serena assenza di emozioni (per quanto possibile) tenendo la mente il più sgombra possibile. A questo scopo sono numerosi gli esercizi di meditazione che si possono fare (non ne sono noti di romani purtroppo**) di tradizione anche orientale, tutti validi allo scopo di liberare la mente, e concentrarsi solo ed esclusivamente sul rito.
Questa è per altro un'altra dimostrazione del perché le defexiones (un tipo di maledizione) non avessero un valore catartico come si sostiene in alcuni ambienti neopagani, ma avessero un preciso valore magico, e che pertanto si dovessero eseguire con fredda determinazione, e non sul momento con rabbia cosa che può provocare un ritorno non gradito (esattamente come per la rituaria che stiamo prendendo in considerazione adesso).

[**è da sottolineare che se non abbiamo esercizi di meditazione romani, è perché oggi per "meditazione" intendiamo un momento in cui dedichiamo dello spazio temporale a questa attività, diversamente da quello che traspare dai testi filosofici romani (e greci) che invece vede una sorta di "vivere in meditazione" dove si è perennemente in uno stato di profonda concentrazione su ciò che si fa, su ciò che ci circonda, e su ciò che avviene dentro di noi.]

Vogliamo precisare che quest'atarassia con cui ci si avvicina al rito non deve essere né una forzatura (seppur ci voglia il giusto impegno) né una condizione malata di incapacità di provare emozioni, né tanto meno un rapporto freddo con la divinità. E' piuttosto uno stato dettato dall'assenza di distrazioni, del resto le emozioni sorgono a causa di un qualche "input" esterno o un pensiero, l'assenza quindi di distrazioni e la totale concentrazione conduce immancabilmente all'assenza momentanea di emozioni.
Il modo corretto di accostarsi non è quindi il trattenere le emozioni in modo forzato (che non lo è mai), ma è la totale ed assoluta concentrazione: mantenere la mente sgombra dai pensieri nel momento immediatamente precedente e per tutto il rito, e limitarsi ad eseguire secondo quanto si dirà nei prossimi articoli (che come si vedrà non è un modo meccanico) le azioni rituali.
Per il rito è necessario il silenzio assoluto, mentale ed attorno a noi, ogni rumore che distragga l'officiante costringe a ricominciare il rito da capo
Bisogna quindi spazzare l'area di fronte al larario, e compiere adeguate abluzioni di cui parleremo nel prossimo articolo.

 

Emanuele Viotti

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Commenti: 2
  • #1

    Maurizio (domenica, 06 settembre 2015 20:40)

    giusto una piccola parentesi, anch'io sapevo che purus deriva dalla radice pur che significa fuoco, ma in realtà alla radice indoeuropea *puH- oggi viene attribuito il valore di pulito, probabilmente indicava il cereale separato dalla sua scorza.

    Per le prescrizioni alimentari aggiungerei
    .... si astenga da tutti gli alimenti dall’odore forte, come il pesce salato (salsamenta) e i succhi che ne derivano, e dall’acre odore dell’aglio, della cipolla e degli alimenti simili... [Col. Agr. IX, 14, 3]

  • #2

    Marco Stella (domenica, 11 ottobre 2015 01:20)

    Cari, sono adepto delle religioni afrobrasiliane (vivo a Rio de Janeiro) e siccome sono italiano ho sempre avuto un rapporto mentale con le nostre divinità ancestrali, ma non ho mai fatto particolari riti. Mi sorprende, leggendo con molto interesse quanto scritto, come molte cose siano identiche alle religioni che frequento qui in Brasile (umbanda e candomblé) a conferma del fatto che il rapporto tra l'uomo (o la counità umana) ed i suoi dèi segue delle regole naturali. Interessantissimo.