M. Centenius fuit cognomine Paenula

<M. Centenius fuit cognomine Paenula, insignis inter primi pili centuriones et magnitudine corporis et animo. is, perfunctus militia, per P. Cornelium Sullam praetorem in senatum introductus petit a patribus uti sibi quinque milia militum darentur: se peritum et hostis et regionum breui operae pretium facturum et quibus artibus ad id locorum nostri et duces et exercitus capti forent iis aduersus inuentorem usurum. id non promissum magis stolide quam stolide creditum tamquam eaedem militares et imperatoriae artes essent. data pro quinque octo milia militum, pars dimidia ciues, pars socii; et ipse aliquantum uoluntariorum in itinere ex agris conciuit ac prope duplicato exercitu in Lucanos peruenit, ubi Hannibal nequiquam secutus Claudium substiterat. haud dubia res erat, quippe inter Hannibalem ducem et centurionem exercitusque alterum uincendo ueteranum, alterum nouum totum, magna ex parte etiam tumultuarium ac semermem. ut conspecta inter se agmina sunt et neutra pars detractauit pugnam, extemplo instructae acies. pugnatum tamen ~ut in nulla pari re~ duas amplius horas concitata, donec dux stetit, Romana acie. postquam is non pro uetere fama solum sed etiam metu futuri dedecoris, si sua temeritate contractae cladi superesset, obiectans se hostium telis cecidit, fusa extemplo est Romana acies; sed adeo ne fugae quidem iter patuit omnibus uiis ab equite insessis, ut ex tanta multitudine uix mille euaserint, ceteri passim alii alia peste absumpti sint.>

<Vi era tra i centurioni del primo manipolo dei triarii un certo Marco Centenio, soprannominato Penula, insigne per prestanza fisica e per coraggio. Costui, che aveva finito il servizio militare, fu introdotto dal pretore Publio Cornelio Sulla in Senato per chiedere che gli fossero affidati cinquemila soldati, dicendo che egli, poiché era molto pratico del nemico e dei luoghi, avrebbe compiuto un'impresa che metteva conto di compiere, dato che avrebbe usato contro colui che le aveva inventate quelle stesse tattiche per le quali fino allora erano stati ingannati e vinti i nostri comandanti e i nostri eserciti.Tutto questo non fu più stoltamente promesso di quanto fu stoltamente creduto, come se la perizia richiesta ad un comandante fosse la stessa che si richiede ad un soldato.Invece di cinque, furono dati a Centenio ottomila uomini, metà cittadini e metà alleati. Costui, durante la marcia, chiamò a raccolta dai campi una certa quantità di volontari e giunse con un esercito quasi raddoppiato in Lucania dove Annibale si era fermato dopo aver invano inseguito Claudio. Non vi potevano essere dubbi sull'esito di uno scontro che avveniva tra Annibale comandante in capo ed un centurione; tra due eserciti, l'uno abituato a vincere, l'altro, invece, del tutto nuovo ed in gran parte messo insieme disordinatamente e solo per metà armato.

Allorché le due schiere furono di fronte, nessuna delle due parti volle sottrarsi alla battaglia, perciò subito le schiere si disposero all'urto. Si combatté, tuttavia, a lungo, per quanto le forze non fossero per nulla pari; per più di due ore durò lo scontro poiché i Romani furono animati dalla speranza di vincere finché il loro comandante stette in piedi.

Quando Centenio, non solo per quel suo antico valore di cui andava famoso, ma anche per il timore dell'onta che avrebbe dovuto subire se fosse scampato ad una sconfitta provocata dalla sua temerarietà, cadde in battaglia offrendo il petto ai dardi nemici, allora l'esercito romano fu subito sbaragliato; anche le possibilità di fuggire mancarono, poiché tutti i passaggi furono occupati dalla cavalleria, a tal punto che di una così grande moltitudine di soldati solo un migliaio si salvò; gli altri qua e là morirono chi per una calamità chi per un'altra.>

 

 

Livio XXV 19 (Battaglia di Silaro, 212)

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